L’Iter di conversione del decreto rilancio, su cui domani alla Camera potrebbe esserci il voto di fiducia, per quanto concerne il lavoro a tempo determinato non modifica – nonostante gli annunci di segno contrario – la disciplina delle causali contenuta nell’articolo 93 del decreto stesso e contestualmente introduce, con il comma 1 bis, l’ennesima rigidità nella gestione del lavoro a tempo.
Secondo questo comma, il termine dei contratti degli apprendisti e dei lavoratori a tempo determinato (tanto quelli assunti direttamente, quanto quelli utilizzati nell’ambito della somministrazione) è prorogato per un periodo pari a quello di sospensione dell’attività lavorativa derivata dall’emergenza da Covid-19.
In sostanza, la norma sposta la durata finale dei contratti a termine (e del periodo formativo, nel caso dell’apprendistato) per un periodo uguale a quello di eventuale collocamento in cassa integrazione tramite uno degli strumenti previsti dal decreto cura Italia. Quando entrerà in vigore questa norma, un datore di lavoro dovrà quindi verificare a quanto ammonta il periodo di sospensione, in modo da comprendere la nuova scadenza del contratto.
In caso di utilizzo di lavoratori somministrati, sarà necessario capire come gestire il contratto commerciale sottoscritto tra impresa utilizzatrice e agenzia. Tale accordo dovrà essere prolungato dalle parti, in quanto non è oggetto di proroga automatica; non è chiaro cosa accadrà al rapporto di lavoro se questi soggetti, per qualsiasi motivo, non raggiungessero un’intesa.
Un altro problema riguarda i contratti già scaduti alla data di entrata in vigore della legge di conversione: anche questi beneficeranno della proroga, oppure resteranno fuori dalla norma? La legge non fornisce indicazioni precise, ma sembra includere tutti i rapporti, senza distinzione tra quelli attivi e quelli cessati: verrebbe così a crearsi un effetto - paradossale e ingiusto - di reviviscenza per via legislativa di rapporti già conclusi.
Questa norma, come si diceva, è l’ennesima rigidità che il legislatore introduce per la gestione della crisi, senza che ci sia alcun reale bilanciamento per le esigenze delle imprese, che speravano in una revisione del comma 1 dell’articolo 93.
Quest’ultimo consente di rinnovare o prorogare senza causale i rapporti a termine, ma contiene una serie di vincoli e incertezze che rendono la disposizione quasi inutile: si applica solo ai rapporti in essere al 23 febbraio, la proroga o del rinnovo non può eccedere il 30 agosto 2020, e la cancellazione della causale si accompagna a un oscuro riferimento alla necessità di utilizzare questi rapporti per agevolare il riavvio delle attività.
Questo approccio rischia di far saltare molte aziende, che vengono ormai trattate alla stregua di ammortizzatori sociali privati: non possono licenziare, per via del divieto introdotto dal decreto cura Italia, neanche se hanno esuberi oggettivi non coperti da cassa integrazione; devono obbligatoriamente prolungare i rapporti a termine, ma non possono usare lavoro flessibile regolare, se non in casi limitati, e nel rispetto di vincoli e regole anacronistiche.
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