PROTOCOLLO E AZIENDE

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L’applicazione all’interno delle aziende di un protocollo contenente le misure di sicurezza volte a ridurre il rischio di contrarre il Covid-19 è un adempimento chiave nel percorso, abbastanza caotico, che accompagna l’avvio della cosiddetta fase 2.

Nel sistema delineato dal Dpcm del 26 aprile, infatti, tutte le aziende autorizzate a riaprire da ieri (quelle contenute nel corposo allegato 3) non devono effettuare alcuna comunicazione (come accadeva sulla base della disciplina precedente) e non sono soggette a controlli preventivi, ma sono chiamate a rispettare uno specifico impegno: applicare le misure di sicurezza condivise concordate tra le parti sociali a livello nazionale.

Questo adempimento è previsto dall’articolo 2, comma 6, del Dpcm, dove si stabilisce che le imprese le cui attività non sono sospese «rispettano i contenuti del Protocollo» sottoscritto il 24 aprile tra Governo e parti sociali (e di quelli speciali per cantieri e logistica, relativamente alle imprese di questi settori). La stessa norma fissa una sanzione molto dura per il caso di mancato rispetto dell’obbligo: si prevede, infatti, la sospensione dell’attività «fino al ripristino delle condizioni d sicurezza».

Il Dpcm fissa un percorso flessibile per il rispetto dell’adempimento. In generale, ciascuna impresa può limitarsi a rispettare il protocollo nazionale, adottando le misure di precauzione ivi indicate; tuttavia, ogni azienda può integrarle con altre equivalenti o più incisive, qualora valuti necessario e opportuno rinforzare le misure in relazione alla propria organizzazione.

Per attuare il proprio piano di sicurezza, l’impresa definisce un proprio documento, nel quale devono essere elencate le misure anti contagio: tale documento seguirà l’impianto del protocollo definito a livello nazionale, adottato in relazione alle caratteristiche dello specifico contesto produttivo. Tale scelta deve essere compiuta dall’azienda «previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali»: secondo tale impostazione, le scelte in materia di sicurezza restano di competenza del datore di lavoro, ma viene assegnato un ruolo consultivo ai rappresentanti dei lavoratori.

Il protocollo del 24 aprile stabilisce anche un meccanismo di aggiornamento delle misure di sicurezza adottate dall’azienda. 

Si prevede, infatti, la costituzione di un apposito comitato, nel quale sono presenti le rappresentanze sindacali aziendali e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Ovviamente, tale organismo dovrà essere costituito solo ove le rappresentanze sindacali sono presenti, non potendosi materialmente procedere in mancanza.

Per i settori che tradizionalmente hanno sviluppato sistemi di concertazione su un livello diverso da quello aziendale, si prevede la possibilità di svolgere il confronto all’interno di organismi costituiti a livello territoriale.

Nel complesso, queste misure assegnano alle relazioni industriali un compito importante in materia di sicurezza sul lavoro: non viene introdotta una forma di cogestione della sicurezza, che resta saldamente in mano ai datori di lavoro, ma vengono rinforzati i meccanismi di discussione e consultazione sulle misure di prevenzione della salute, allo scopo di rafforzare la loro efficacia e condivisione tra i lavoratori.

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